Abstract
Questa è una breve esposizione dei lavori che storicamente hanno più contribuito all’evoluzione della Terapia Breve Strategica. Il primo modello di terapia breve strategica è stato formulato dal famoso gruppo del Mental Research Institute di Palo Alto in collaborazione con Milton Erickson. Da quella prima formulazione il modello si è evoluto grazie alle geniali idee di personalità carismatiche differenziandosi sempre più in specifici modelli clinici che, pur mantenendo una comune base teorica, si caratterizzano per le particolari tecniche di intervento.
L’obiettivo principale di questo articolo, è quello di presentare una breve ma esaurente descrizione della genealogia della Terapia Breve Strategica. Il primo modello della terapia breve strategica è stato messo a punto dal gruppo di ricercatori del Mental Research Institute di Palo Alto con la collaborazione di Milton Erickson, il maestro dell’ipnoterapia. Il risultato fu un modello sistemico della terapia breve che veniva applicato a vari disturbi e problemi psicologici, offrendo dei risultati sorprendenti.
Tuttavia, la tradizione della pragmatica e la filosofia degli stratagemmi, fondamentali nel problem solving, risalgono all’Arte persuasoria dei sofisti, alla Pratica dei Buddisti Zen, all’Arte degli Stratagemmi Cinesi e anche all’Arte della Metis dell’Antica Grecia.[1]
Negli ultimi trenta anni, la terapia breve è stata divulgata da molti ricercatori e terapeuti (Watzlawick, Weakland, Fisch, 1974; Weakland et al. 1974; De Shazer, 1982a, 1982b, 1984, 1985, 1988a, 1988b; Haley, 1963; Madanes, 1990, 1995; Nardone, 1991, 1993, 1995; Nardone, Watzlawick, 1990; Omer, 1992, 1994; Cade-O’Hanlon, 1993; Bloom, 1995; Watzlawick, Nardone, 1997; Nardone, 2000; Nardone, Rocchi, Giannotti, 2001; Nardone Watzlawick 2004).
La terapia breve si è sviluppata, dalle sue prime formulazioni ad oggi, in un primo momento in filoni caratterizzati dalle idee e dalla carismatica personalità di alcuni importanti autori, per poi venire a costituirsi in forma di modelli differenziati, i quali pur mantenendo una base teorica comune, venivano a caratterizzarsi originalmente a livello di modello clinico e di tecniche di intervento.
Per riassumere, presenterò le linee generali della prima evoluzione della terapia breve mediante una rappresentazione grafica, una sorta di albero genealogico della terapia breve strategica.[2]
Dal grafico 1 il lettore può comprendere, come la terapia breve basato su procedimenti di intervento Strategico, dalle prime esperienze di Erickson in poi, ha avuto una ramificata evoluzione connotata dalla maggiore enfasi data dagli autori dei 3 fondamentali modelli ad alcune specifiche assunzioni o tecniche che ne hanno contraddistinto le caratteristiche. Il gruppo Palo Alto ha posto la sua attenzione sul circolo vizioso di persistenza di un problema, alimentato dai tentativi di soluzione messi in atto dagli stessi portatori del disturbo, di conseguenza a ciò, l’esigenza di intervenire con manovre tese a bloccare e ristrutturare le tentate soluzioni disfunzionali.
Haley ha lavorato sulla direttività comunicativa del terapeuta e su come basare l’intervento sulla riorganizzazione dei giochi di potere nelle dinamiche comunicative e gerarchiche. L’accento posto dal gruppo di Milwaukee sul costruire soluzioni attraverso le “eccezioni” al problema, indipendentemente dalle sue modalità di persistenza.

Il primo stadio evolutivo della terapia breve, che si è esteso per oltre 20 anni è stato seguito, verso la fine degli anni 80 e i primi del 90, da uno stadio storico caratterizzato dal tentativo da parte di alcuni autori, di costruire approcci che sintetizzassero gli apporti più significativi derivanti dai tre tradizionali modelli della terapia breve.
Negli ultimi anni, in seguito a questa fase di sintesi teorico – applicativa, si è assistito a una più specifica forma di sviluppo della tecnica in direzioni più focalizzate. In particolare, si rileva la tendenza allo studio applicato di strategie specifiche di terapia che fossero non solo singole tecniche per ricorrenti forme di resistenza al cambiamento, ma piani strategici di articolate sequenze terapeutiche studiate ad hoc per particolari patologie. Anche questa ramificazione verrà presentata schematicamente da un altro albero genealogico (grafico 2).
Il secondo grafico raffigura come dall’approccio di Haley-Madanes si sia evoluta la terapia degli abusi sessuali e della violenza subita ed agita; dal modello di De Shazer si è derivato il trattamento per gli abusatori di sostanze stupefacenti ed alcol; dall’originaria ottica di Palo Alto e dagli approcci sintetici, l’autore ha fatto evolvere i protocolli terapeutici per i disturbi fobico-ossessivi e i disordini alimentati.
Dopo aver presentato un riassunto di quello che è stato lo sviluppo della terapia breve, possiamo entrare nel merito del tema della presente trattazione: ossia, la esposizione del modello di terapia breve evoluta, sviluppato dall’autore presso il C.T.S. di Arezzo, lavoro questo, svolto dapprima sotto la supervisione di John Weakland e Paul Watzlawick, e successivamente orientato mediante una specifica metodologia di ricerca empirica – sperimentale e nuove assunzioni logiche – epistemologiche, verso la costituzione di un approccio evoluto caratterizzato dalla messa a punto di protocolli specifici di trattamento per particolari patologie.
L’obiettivo principale è stato quello di evolvere modelli generali di terapia verso protocolli specifici di intervento per particolari patologie, ossia, sequenze prefissate di manovre terapeutiche con potere euristico e predittivo, capaci di guidare il terapeuta alla rottura, mediante particolari stratagemmi terapeutici, di specifiche rigidità patologiche e alla loro ristrutturazione in modalità funzionali di percezione e reazione nei confronti della realtà. Al fine di tale progetto ci si avvalse, non solo della tradizione teorica, applicativa e di ricerca della terapia breve, la quale appariva come criterio per la messa a punto di un modello evoluto piuttosto artigianale e rudimentale, ma di una nuova rigorosa metodologia di ricerca empirico sperimentale, in linea con la ricerca avanzata tipica della Fisica e delle scienze applicate più evolute.
Oltre a ciò furono presi dalla logica matematica, in particolare dalle moderne logiche paraconsistenti e non aletiche, in grado di utilizzare l’autoinganno, la credenza, il paradosso e la contraddizione, come elementi strutturali di modelli Logici rigorosamente costruiti. In altri termini, mediante il contributo della Logica formale, creativi stratagemmi terapeutici, basati su logiche non ordinarie, potevano divenire strumenti formalizzati all’interno di modelli di intervento dimostratesi efficaci e replicabili. Tutto ciò ha condotto a salvaguardare, nella messa a punto di strategie terapeutiche, sia la creatività che la sistematicità. Tale lavoro, di studio empirico per la costituzione di sequenze terapeutiche applicato a migliaia di casi, nell’arco di oltre 10 anni, ha portato come testimoniano le numerose pubblicazioni da questo scaturite (Nardone, Watzlawick 1990, Nardone 1991,1993,1995,1998, Watzlawick, Nardone 1997), alla formulazione di modelli evoluti di terapia breve, composti di tecniche innovative costruite ad hoc per sbloccare particolari tipologie di persistenza.

Questi protocolli di trattamento si sono dimostrati capaci di risolvere, con un più elevato tasso di efficacia ed efficienza di qualunque altra psicoterapia alcune forme rilevanti di patologie, quali i disturbi fobici ossessivi generalizzati e i disordini alimentari (Nardone 1993, Watzlawick-Nardone 1997,Nardone-Verbitz-Milanese, 1999). La ricerca-intervento che ha compreso migliaia di pazienti con disturbi vari, ha condotto, infine anche a nuove assunzioni rispetto sia alla struttura dei procedimenti di Problem Solving che alle caratteristiche della comunicazione terapeutica, nel loro svolgersi fase per fase, dalle prime battute alla conclusione della terapia.
In linea con la Logica Strategica, branca specialistica della Logica matematica l’intervento terapeutico della terapia breve strategica viene a costituirsi non sulla teoria assunta a monte dal terapeuta ma sulla base dell’obbiettivo da raggiungere e delle caratteristiche del problema da risolvere. Pertanto l’assunzione di partenza è la rinuncia a qualsiasi teoria normativo-prescrittiva, compresa la teoria sistemica dalla quale per alcuni aspetti la terapia breve è derivata.
Comunque si ritiene che qualunque teoria assunta a priori funzioni come giudizio “implicito” (Salvini 1991) o pregiudizio fuorviante per la messa a punto di efficaci soluzioni. Mentre, il calzare l’intervento alle prerogative del problema e all’obbiettivo da raggiungere, induce a costruire una strategia ben focalizzata che poi dovrà “autocorregersi” nella sua interazione con il problema . In altri termini, la strategia si adatta tattica dopo tattica alle risposte derivanti dagli interventi messi in atto: come nel gioco degli scacchi, si procede con un’apertura seguita da mosse che si susseguono sulla base del gioco dell’avversario.
Se la modalità di persistenza del disturbo o la resistenza dell’avversario appare ripetitiva, si potrà tentare una sequenza formalizzata di scacco matto in poche mosse, ossia un protocollo specifico di trattamento. La misurazione degli effetti, in questo caso, non sarà solo tra l’inizio e la fine della terapia, ma sarà rivolta ad ogni singola fase del processo terapeutico, poiché, come in un modello rigoroso matematico, si ipotizzano le possibili risposte ad ogni singola manovra, le quali vengono poi verificate, mediante la prassi empirico-sperimentale. Tale metodologia conduce a ridurre tali possibilità di risposta ad un massimo di 2 o 3 per ogni singolo intervento, permettendo, così, di costruire, poi, per ognuna di tali varianti di risposta la successiva mossa. Quindi, si procede con una misurazione processuale degli effetti e del valore predittivo di ogni singola manovra e non solo dell’intero processo terapeutico.
Il risultato finale di un tale laborioso processo empirico – sperimentale, guidato da modelli di Logica matematica, è un modello di terapia evoluto, poiché controllabile e verificabile, il quale inoltre, in virtù della sua formalizzazione può essere replicato e didatticamente trasmesso.
E’ importante sottolineare che tale modello non è risultato essere soltanto efficace ed efficiente ma anche predittivo, caratteristica questa ultima, che fa si che una tipologia terapeutica si evolva da pratica artigianale-artistica ad evoluta tecnologia, senza che questo ne riduca o ne faccia perdere quel tasso di creatività artistica indispensabile al suo continuo processo di innovazione, che però in questo caso, avviene nel rispetto dei criteri di rigore scientifico che rendono tale terapia qualcosa di realmente affidabile.
Tutto quanto affermato precedentemente vale per lo studio della struttura dell’intervento e per la sua logica costitutiva, tuttavia, grande attenzione ed importanza è stata rivolta verso l’adattamento dell’intervento ad ogni singola persona, famiglia e contesto socio-culturale. Poiché a tale proposito ogni criterio di controllo e “predittività” salta. Come già affermava Erickson, infatti, ogni individuo possiede caratteristiche uniche ed irripetibili, così come la sua interazione con se stesso, gli altri ed il mondo rappresenta sempre qualcosa di originale. Di conseguenza a ciò ogni interazione umana, anche quella terapeutica, risulta essere unica ed irripetibile, all’interno della quale, sta al terapeuta, adattare la propria logica ed il proprio linguaggio a quello del paziente procedendo, in tal modo, nell’indagine delle caratteristiche del problema da risolvere, sino alla rilevazione della sua specifica modalità di persistenza. Una volta individuate le peculiarità della persistenza del problema, egli potrà utilizzare la logica di Problem Solving che appare più idonea, seguendo nella sua costituzione e nella sua applicazione il modello sopra descritto, ma formulando ogni singola manovra adattandola alla logica e al linguaggio del paziente. In questo modo, in realtà l’intervento terapeutico mantiene la sua capacità di adattarsi alle singolarità di ogni nuova persona e situazione, mantenendo, tuttavia, anche il rigore strategico a livello di struttura dell’intervento.
Per rendere ancora più chiaro questo importante concetto, è bene sottolineare che ciò che può essere prefissato è la strategia, a livello di struttura dell’intervento che si adatta alla struttura del problema e alla sua persistenza; ciò che cambia sempre è l’interazione terapeutica, la relazione con il paziente ed il tipo di comunicazione che si utilizza.
Pertanto, anche quando si adotta un protocollo di trattamento specifico, come nel caso dei disturbi fobico – ossessivi e le varianti dei disordini alimentari, ogni manovra è sempre diversa ma rimane sempre la stessa, poiché questa cambia nella sua esplicitazione comunicativa e nel suo adattamento alla persona, ma rimane la stessa manovra a livello di procedura Strategica di Problem Solving. Il nostro lavoro è in linea con le parole di G. Bateson che scrive “ Il rigore da solo è la morte per asfissia ma la sola creatività è la follia”.