TMS e Studio delle Funzioni Cognitive nel Trattamento dei Disturbi Psichici
TMS, ossia Stimolazione Magnetica Transcranica. Dietro a questo termine che potrebbe riportare alla mente le famose scene di “Qualcuno volò sul nido del cuculo”, si cela uno strumento di grande utilità nel campo dello studio delle funzioni cognitive, da sempre oggetto di interesse delle Neuroscienze e della Psicologia. Il paragone fra TMS ed “Elettroshock” si limita al solo fatto che entrambe le tecniche modulano l’eccitabilità della corteccia cerebrale tramite un passaggio di corrente. Eppure, questa comune caratteristica, è stata sufficiente a provocare l’annuncio di un presunto “ritorno dell’elettroshock” da parte di alcuni quotidiani, palesando la necessità di chiarire alcune distinzioni fra le vecchie e le nuove correnti (siano elettriche o di pensiero) che hanno attraversato e attraversano il cervello: tale è l’intento in cui si cimenta questo articolo.
Breve excursus storico
Le prime correnti (elettriche) volte a stimolare il cervello in vivo furono indotte da Fritz e Hitzig nel 1870 i quali scoprirono che un impulso elettrico in una precisa zona della corteccia motoria, provocava un’altrettanto precisa risposta muscolare controlateralmente allo stimolo indotto. Da quel momento nacque una corrente (di pensiero) entro la quale si susseguirono diversi tentativi di modulazione dell’eccitabilità cerebrale tramite stimolazione elettrica. Senza dilungarci in mere e pesanti ricostruzioni storiche è bene soffermarci su almeno uno di questi importanti studi risalente agli anni 50.
Nel 1950 Penfield e Rasmussen, stimolando elettricamente la corteccia cerebrale, scoprirono che le diverse parti del corpo sono rappresentate topograficamente nella corteccia motoria primaria creando una sorta di “mappa motoria” (il celebre “homunculus motorio”). Tale affascinante scoperta permise in modo chiaro ed inequivocabile di stabilire un criterio di funzionamento della via corticospinale. Restava però un grosso problema da risolvere: tutte queste interessanti scoperte avvenivano in modo invasivo, doloroso e con elevati rischi epilettogeni per il paziente (oltre ai danni cognitivi allora ancora poco conosciuti). Vi furono diversi passi in questa direzione ma bisognerà attendere il 1985 per la messa a punto di uno stimolatore magnetico (difatti non propriamente elettrico) che non creasse alcun tipo di disagio per il soggetto: un momento storico nell’ambito della stimolazione transcranica (Barker et al., 1985). Nacque così la TMS, prima tecnica non invasiva di stimolazione cerebrale (Terao e Ugawa, 2002), in questo senso distante dalle precedenti tecniche elettroconvulsivanti che richiedevano un’anestesia generale del paziente, necessaria per via dell’induzione di violente contrazioni muscolari che potevano causare fratture ossee e amnesia (per una recente revisione critica – Sackheim et al., 2007).
Cos’è la Stimolazione Magnetica Transcranica
La TMS è una tecnica non invasiva di neuromodulazione e neurostimolazione basata su un principio di induzione elettromagnetica di un campo elettrico (meglio noto come legge di Faraday) (Rossi et al., 2009). I componenti fondamentali della TMS sono un generatore di corrente elettrica (sino a 8 kA) e una sonda mobile, chiamata Coil, che viene posta a diretto contatto con lo scalpo del soggetto. Un passaggio di corrente elettrica nel Coil genera un brevissimo campo magnetico perpendicolare alla sua superficie la cui repentina variazione nel tempo (2 T di intensità a 200 μs e durata di 1 ms) evoca, per la legge di Faraday, un flusso di elettroni che “interferisce” nella normale attività elettrica cerebrale causando una depolarizzazione della corteccia sottostante (Walsh e Cowey, 2000).
L’esatto meccanismo di azione e di interazione dell’impulso TMS sull’attività cerebrale non è ancora del tutto chiaro data la sua variabilità e la sua complessità (Miniussi et al., 2010): l’effetto indotto di depolarizzazione neuronale può portare difatti ad attivare gruppi di neuroni sia prossimi che distanti alla zona direttamente stimolata (Walsh e Rushworth, 1998) e di carattere sia inibitorio sia eccitatorio (Ridding e Rothwell, 2007).
I metodi di stimolazione TMS sono sostanzialmente due: un metodo “Single Pulse” (TMS a singolo impulso) in cui la stimolazione avviene tramite una serie di singoli impulsi, e un metodo “rTMS” (TMS ripetitiva) in cui la stimolazione consiste in un “treno di impulsi” dato in un periodo di tempo prestabilito: per convenzione si usa definire “rTMS ad alta frequenza” la stimolazione a frequenza maggiore di 1hz e “rTMS a bassa frequenza” la stimolazione a frequenza minore di 1hz (Rossi et al., 2009).
Le caratteristiche del campo elettrico e gli effetti che ne scaturiscono a livello della corteccia dipendono da numerosi parametri sia interni al macchinario (intensità e frequenza degli impulsi, orientamento e forma del Coil), sia da innumerevoli fattori soggettivi che influenzano l’eccitabilità corticale, tra i quali lo stato di vigilanza del soggetto o più banalmente la forma del suo scalpo (Okamoto et al., 2004, Stokes et al., 2005).
È importante sottolineare che la depolarizzazione neuronale indotta dalla TMS è transitoria e focale (anche se l’entità di questi aspetti varia a seconda del tipo di Coil utilizzato – Zimmerman e Simpson, 1996), a differenza di quella dell’Elettroshock che, essendo massiva, è causa del transitorio “appiattimento” del tracciato elettroencefalografico successivo a una terapia elettroconvulsiva. Tale fenomeno è, per alcuni studiosi, equivalente a una sorta di “reset” della nostra attività cerebrale e rappresenta uno degli aspetti più dibattuti della terapia elettroconvulsiva, il cui effetto terapeutico venne paragonato da Franco Basaglia al “prendere a pugni un televisore per aggiustarne la frequenza”.
Come agisce la TMS
La capacità della TMS di indurre un’area di depolarizzazione neuronale focale (sino a circa 2 cm sotto la superfice dello scalpo) rappresenta anche un limite per gli scopi clinici e di ricerca, in quanto ne riduce gli effetti alla sola corteccia cerebrale (Roth et al., 2002; Zangen et al.,2005).
Contrariamente alla tecnologia del sistema TMS che è rimasta sostanzialmente invariata dal 1985, ciò che è in notevole e continua espansione sono gli ambiti di utilizzo e le applicazioni dello strumento sia dal punto di vista clinico che di ricerca. In linea generale il diverso utilizzo della Stimolazione Magnetica Transcranica è strettamente correlato alla durata dei suoi effetti.
Una stimolazione Single-Pulse è in grado di produrre delle risposte “istantanee” i cui effetti decadono immediatamente: questo carattere di transitorietà permette di ottenere un’alta risoluzione temporale del funzionamento dei processi cognitivi, valutando come questi cambiano (in termini di tempi di reazione e accuratezza) con l’applicazione della TMS in diversi istanti temporali (Walsh e Rushworth, 1998). Come già detto, l’esatto meccanismo per cui la stimolazione TMS dovrebbe interferire sull’elaborazione delle informazioni nella corteccia è ancora dibattuto: un tempo tali interferenze venivano definite in termini di “lesioni virtuali” (Walsh e Cowey, 1998), concezione che si è rivelata presto inadeguata di fronte al fatto che la TMS può non soltanto interferire “negativamente” in una performance, ma può anche facilitarla (Harris et al., 2008; Miniussi et al.,2010). Un’ipotesi più accreditata su come la TMS possa interferire sui processi cognitivi riguarda il rapporto fra “segnale-rumore” dell’attività neuronale. In questo senso l’effetto TMS potrebbe essere pensato come inducente “rumore” in un processo neurale (Walsh e Cowey, 2000): se ad esempio un gruppo di neuroni è impegnato in un’attività di identificazione di una forma (attività “segnale”), la TMS indurrebbe un’attivazione random che non contribuirebbe al target (l’identificazione della forma) ma porterebbe piuttosto “disordine” (attività “rumore”) (Miniussi et al., 2010). Un altro classico esempio “visibile” indotto dalla TMS è quello che si ottiene stimolando l’area di Broca, deputata alla produzione linguistica: ossia una breve interferenza della produzione del discorso (Stewart et al., 2001). Tuttavia il “rumore” indotto artificialmente dalla TMS non è da considerarsi come semplice “disturbatore” in quanto può, come già detto, causare delle facilitazioni della performance qualora l’attività neurale indotta sia sincronizzata e abbia una adeguata intensità (Stein et al., 2005; Miniussi et al., 2010).
Una stimolazione ripetitiva è invece in grado di produrre degli effetti che perdurano nel tempo, la cui durata, solitamente di 30-60 minuti successivi alla stimolazione, dipende dal numero di impulsi dati, dalla loro intensità e dalla loro frequenza (Ridding e Rothwell, 2007): l’applicazione di rTMS a bassa frequenza ha un effetto inibitorio sull’attività cerebrale, viceversa, un’applicazione rTMS ad alta frequenza sortisce un effetto facilitatorio (Pascual-Leone et al., 1998; Maeda et al., 2000). Il prolungarsi degli effetti della rTMS consente l’utilizzo della stimolazione sia “On-line”, durante lo svolgimento del processo d’interesse (come accade nella stimolazione Single-Pulse), sia “Off-line” consentendo la valutazione degli effetti prima e dopo la stimolazione. La possibilità di utilizzo dei diversi protocolli rTMS ha permesso lo studio di processi continui e di trattamenti terapeutici, affrontati nel paragrafo sulle applicazioni cliniche della TMS.
A questo punto emerge chiaro il vantaggio che la TMS presenta nello studio delle relazioni fra aree cerebrali, processi cognitivi e processi comportamentali: la possibilità di interferire attivamente in modo transitorio nell’attività cerebrale con un’adeguata precisione spaziale e temporale. Questa proprietà della TMS permette di stabilire il momento in cui una precisa regione cerebrale contribuisce a un dato compito, di mappare la connettività funzionale fra diverse regioni cerebrali, e soprattutto, per la prima volta, di stabilire delle relazioni causali fra cervello, cognizione e comportamento (Pascual-Leone et al., 2000).
La TMS nella ricerca e nello studio delle funzioni cognitive
Come accennato in precedenza, la possibilità offertaci dalla Stimolazione Magnetica Transcranica di interferire nell’attività di una data area cerebrale in un dato compito e in un dato momento, ha consolidato l’importanza della TMS come strumento investigativo nel campo dello studio delle funzioni cognitive (Walsh e Cowey, 2000). Numerose ricerche hanno già sfruttato il potenziale della TMS nello studio della percezione (Stewart et al., 1999; Masur et al., 1993), della memoria (Mull et al., 2001), dell’attenzione (Ashbridge et al., 1997), del linguaggio (Pascual-Leone et al., 1991) e della coscienza (Cowey e Walsh, 2000). Molte di queste si sono basate non solo sulla potenzialità della TMS di “interferire” causalmente sul funzionamento cognitivo, ma anche sulla facilitazione che un impulso può indurre in un’elaborazione cognitiva. Un esempio è il celebre studio di Topper et al. (1998) in cui un impulso TMS applicato all’area di Wernicke, deputata alla comprensione linguistica, aveva un effetto facilitatorio (diminuzione del tempo di reazione) in una performance di denominazione di figure (Topper et al., 1998).
Fra i vari studi condotti nell’ambito della ricerca TMS vale la pena citarne uno che ha contribuito a risolvere uno dei più importanti dibattiti all’interno della Psicologia: la comprensione della natura delle rappresentazioni mentali (Legrenzi et al., 1994). La disputa, iniziata negli anni 70, vedeva da una parte gli “immaginisti”, sostenitori dell’autonomia della funzione immaginativa e della sua analogia con quella percettiva (Kosslyn, 1987; Cooper e Shepard, 1975) e dall’altra i “proposizionalisti”, sostenitori di una natura puramente proposizionale delle rappresentazioni mentali (Pylyshin 1973; 1981). L’applicazione della TMS sulla corteccia mediale occipitale (area 17 di Broadmann), sede della corteccia visiva primaria, ha dato definitivamente ragione ai primi. Il peggioramento della prestazione a seguito della stimolazione nell’area visiva in un compito in cui i soggetti dovevano svolgere un confronto tra due rappresentazioni mentali (Kosslyn et al., 1999) rende infatti evidente la loro natura “immaginativa”. Tale dato è stato fondamentale nell’accreditare l’ipotesi di Kosslyn per cui la natura delle rappresentazioni mentali sia effettivamente “visiva” e non “proposizionale” come sostenuto da Pylyshin.
La TMS nel trattamento dei disturbi psicologici e psichiatrici.
Al consolidato utilizzo della TMS come strumento di ricerca si affianca un ancor poco diffuso utilizzo nella pratica clinica, dissuaso dalle scarse conoscenze che si hanno sui suoi meccanismi neurobiologici (Komssi et al., 2006). Tuttavia, considerando i non così rari fenomeni di resistenza dei pazienti ai trattamenti psicoterapici e farmaceutici (nel caso di questi ultimi si stima che circa il 35-40% dei pazienti affetti da depressione non rispondano efficacemente al trattamento farmacologico – Miniussi, 2005), tradizionalmente si è sempre vagliata la possibilità di approcci non farmacologici. In passato l’esempio più conosciuto e più facilmente accostabile alla TMS è stato la Terapia Elettroconvulsiva (ECT). Tuttavia, come più volte ribadito in questo articolo, la distanza che separa queste due tecniche è notevole, data la forte invasività dell’Elettroshock che richiede un’anestesia generale del paziente per limitare i rischi della crisi epilettica che questa procedura necessariamente induce portando a deficit persistenti della sfera cognitiva (Feliu et al., 2008; Breggin, 2007). La Stimolazione Magnetica Transcranica non segue questa linea e altresì nasce dall’esigenza di un trattamento non invasivo del paziente che sia in grado di depolarizzare i neuroni in aree specifiche e per brevissime durate temporali (Miniussi, 2005).
Lo sviluppo della tecnica di Stimolazione Magnetica Transcranica ripetitiva (rTMS) ha permesso l’utilizzo di protocolli di stimolazione i cui effetti perdurassero oltre il periodo di stimolazione e i cui cambiamenti a livello neuronale avessero un’influenza sul comportamento naturale (Ridding e Rothwell, 2007). Tali sviluppi hanno recentemente attratto l’attenzione della comunità scientifica internazionale che ha preso in considerazione la TMS come possibile supporto tecnologico in grado di sostituire definitivamente l’Elettroshock nel trattamento di svariati disturbi psichici (Miniussi, 2005). Alcuni studi preliminari eseguiti in diversi paesi dimostrerebbero che la TMS presenta un’efficacia superiore a quella della Terapia Elettroconvulsiva, in assenza però degli stessi effetti collaterali e con un’ottima tolleranza da parte del paziente (per una revisione critica, Martin et al., 2004 – Cochrane Review).
Uno dei campi in cui la TMS ripetitiva ha trovato una più diffusa applicazione riguarda il trattamento della depressione maggiore farmacoresistente (George et al., 1995; Pascual-Leone et al., 1996) in cui sono applicati dei protocolli di stimolazione ripetitiva sulla corteccia dorsolaterale prefrontale, in modo da migliorare l’efficienza sinaptica di quest’area, spesso deficitaria in chi ha questo tipo di disturbo (Pascual-Leone et al., 1998). Altre applicazioni terapeutiche della modulazione di eccitabilità corticale tramite rTMS sono state vagliate nell’ambito del trattamento dei disturbi ossessivo-compulsivi attraverso una stimolazione finalizzata a regolare l’eccitabilità corticale della corteccia orbitofrontale, coinvolta in questo tipo di disturbi (Greenberg et al., 1997; 2000), e nel trattamento di pazienti schizofrenici con allucinazioni uditive (Hoffman et al., 2000).
È fondamentale sottolineare che gli esatti meccanismi attraverso i quali la TMS esplica il suo potenziale terapeutico non sono ancora ben conosciuti (Miniussi et al., 2010), si ritiene però che questo si basi sull’induzione di modificazioni a lungo termine dell’eccitabilità corticale all’interno di determinate aree cerebrali (Siebner e Rothwell, 2003). Un ulteriore problema risiede nell’individuazione di parametri generali di stimolazione necessari per un buon esito terapeutico in diversi soggetti (Pascual-Leone e Wassermann, 1996): alcuni di questi beneficiano di un generale consenso (come la frequenza di stimolazione – Hoffman e Cavus, 2002), su altri non c’è ancora un accordo unanime.
Pascual-Leone in un suo interessante articolo ha inoltre spiegato come gli stessi parametri di stimolazione possano avere diversi effetti a seconda del contesto di applicazione e dello status mentale del soggetto durante il trattamento (Pascual-Leone et al., 1998). Questi dati dunque, spingerebbero una riflessione su due versanti: da una parte sull’attenzione e sulla conoscenza che sicuramente meritano le nuove e affascinanti prospettive che si affacciano nell’ambito della terapia e della ricerca Neuropsicologica e Psicologica; dall’altra, sul fatto che la centralità dell’individuo nella sua integrità e nel suo benessere è imprescindibile dalla buona riuscita di un trattamento clinico, come ci dimostrano tutt’oggi gli ancora dibattuti effetti della rTMS.
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L’articolo è comparso originariamente su Neuroscienze.net in data “Nuove e Vecchie correnti sul cervello” in data 25 luglio 2011
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